Ho sempre pensato che un pilota diventi un campione, quando arriva a comprendere le proprie debolezze, ad assimilarle e a trasformarle in punti di forza, arrivando persino a mandare in crisi le sicurezze degli avversari.
Va da sé, che un pilota debba necessariamente trovarsi con le natiche appoggiate al sedile di un mezzo meccanico competitivo.
Nessun campionato nell'intera storia del motorsport è mai stato vinto senza la fusione perfetta delle due componenti principali. Quella meccanica spinta dalla miglior forza propulsiva e quella umana spinta da quel piede speciale, che sa fare la differenza. Quel piede "operaio" che esegue ordini impartiti dall'alto, dalla testa.
La presenza di un campione la si percepisce, la si annusa e la si distingue in mezzo al gruppo.
Egli si muove come fosse all'interno di una bolla tutta sua, una membrana impalpabile fatta di unicità espressiva nell'atteggiamento fuori e dentro la pista.
Non c'è alcun dubbio nell'affermare che nell'era moderna della massima categoria, la personalità più interessante sia quella di Sir Lewis Hamilton e certamente, non soltanto per via del l'abbigliamento eccentrico che sfoggia nel paddock.
Lewis è un uomo emotivo, ma che ha capito come compensare con l'intelligenza questo aspetto, che altrimenti avrebbe potuto renderlo vulnerabile all'interno del proprio mestiere.
Lewis è stato abile a mettere in atto dei meccanismi mentali, che potessero aiutarlo a ribaltare le situazioni di gara in suo favore... Ha sempre mentito, stuzzicato e innervosito gli avversari, per costringerli ad esporsi e a commettere degli errori.
È un vero maestro nella gestione degli pneumatici, ne sente il degrado come se avvenisse sulla sua stessa pelle! Ciò gli ha consentito innumerevoli volte di sorprendere e beffare l'avversario a livello strategico. Come? Facendo credere che di lì a poco si fermerà per un cambio gomme oppure, anche quando lamenta un'improvvisa perdita di potenza motrice, lo fa via radio così che tutti lo ascoltino e nel dubbio che sia vero, siano obbligati a cambiare le proprie strategie, ma... Poi, non è vero!
Mi emoziona ricordare il GP di Silverstone 2020, una folle gara dove Lewis ha tagliato il traguardo su tre ruote! A poche tornate dal termine, lo scoppio dell'anteriore sinistra lo costringe a proseguire praticamente sul cerchione. Quel momento ha sospeso il suo ed il mio battito cardiaco per un tempo indefinito. Ha vinto Lewis! Stoico e immenso nel saper gestire le criticità, prima di lui l'analoga impresa riuscì solo a Jim Clark, nel lontano 1967.
Hammer ha sempre posseduto una lucidità mentale ed una prontezza d'esecuzione, che all'occorrenza sono state in grado di compensare i limiti della sua macchina.
Tutto questo non è solo stato, ma sarebbe ancora così se ritrovasse il feeling perfetto con l'attuale monoposto. Il mezzo meccanico deve rendersi guidabile, per consentire al pilota di esprimere il proprio talento. Ad oggi, la W13 Mercedes non consente ancora a Lewis di poter spingere al limite, di cercare quella prestazione perfetta, che scommetto essere ancora lì nelle sue corde.
In quindici anni di F1, lui ha provato tutte le sensazioni legate alla vittoria e alla sconfitta, la frustrazione di non poter dare tutto il meglio di sé oggi, andrà a caricare ancora di più la sua motivazione domani. Poiché, la resa non è un'opzione per un uomo della sua straordinaria natura psicofisica.
Lo hanno fischiato e sminuito tante volte, perché ha avuto la sola colpa di vincere troppo, perché è un figo dal talento esagerato che pare uno stato di grazia e questo a molti proprio non va giù!
I tifosi di altri team lo hanno insultato spesso per il colore della sua pelle e lui, di tutta risposta: "Ringrazio i miei tifosi", oppure "Ringrazio i fischi perché mi caricano". Niente affatto! Egli ha sofferto quei fischi, come è normale che sia per ogni essere umano, ma ha reagito con l'intelligenza e la signorilità che lo contraddistinguono.
Lewis è un uomo, che per vestire i panni del Supereroe nel fantastico mondo della F1 ha bisogno di calore tutt'intorno, che gli dia quel plus di forza in più a colmare le lacune della sua parte emotiva. Per sentirsi forte in pista ha bisogno di simboli di buon auspicio, come i tatuaggi e i pearcing sulla sua pelle, quelli che per lui sono la sua vera tuta. Li indossa come fossero un mezzo concreto per andare più forte e spingersi sempre oltre, come il mantello è per Superman.
Scritte semplici, parole che sente alla base della sua persona e della sua educazione: "Dio", "Lealtà", "Fede", "Benedetto", "Mi sto rialzando" e quel "44", preso dall'auto del padre Anthony, quell'uomo che non aveva niente eppure lo ha messo in condizione di avere tutto, quel primo uomo che ha creduto in lui. Sono tutti perni su cui Lewis fa leva.
Ha bisogno della sua gente, di abbracci, come quello che forse più di tutti lo accoglie e lo ritempra, quello della sua Angela "custode" (Angela Cullen) la sua coach, della quale si fida tanto da essere considerata come la sua ombra.
"Powerful beyond measure" (potente oltre misura) e un'enorme testa di leone ruggente tatuati in pieno petto... Chi pensa siano segnali d'arroganza e spavalderia, non ha capito un bel niente di Lewis Hamilton.
Sono pronta a scommettere, che una volta terminata una qualsiasi gara, levandosi la tuta davanti allo specchio e guardando proprio quel tatuaggio, l'unica cosa che a Lewis verrà in mente sarà quella, che è arrivata l'ora di andare a riempire la ciotola del suo amato Roscoe.
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